lundi 29 décembre 2025

Se ricordi questo, la tua infanzia è stata diversa

 

Se ricordi questo, la tua infanzia è stata diversa

C’è una frase che gira spesso sui social: “Se ricordi questo, sei vecchio”.
Ma forse il punto non è l’età.
Forse è il tipo di infanzia che hai vissuto.

Perché alcune persone non ricordano solo oggetti o giochi, ma sensazioni: il tempo che scorreva più lento, la noia che diventava creatività, le ginocchia sbucciate come medaglie di guerra, il silenzio delle case senza notifiche.

Se leggendo queste righe senti una stretta allo stomaco o un sorriso improvviso, forse sì: la tua infanzia è stata diversa.


Ricordi quando uscivi senza sapere a che ora saresti tornato?

Non c’erano messaggi.
Non c’erano GPS.
C’era una frase semplice: “Torna prima che faccia buio”.

Uscivi di casa e il mondo diventava enorme. Ogni strada era un’avventura, ogni cortile una possibilità. Non avevi un programma, non avevi un piano. Incontravi gli altri per caso, e quel caso bastava.

Se pioveva, si correva.
Se faceva caldo, si cercava l’ombra.
Se cadevi, ti rialzavi.

Nessuno filmava. Nessuno commentava.
Tutto esisteva solo perché lo stavi vivendo.


Ricordi la noia?

La vera noia.
Quella che oggi sembra quasi impossibile.

Non la noia con mille opzioni davanti, ma quella totale:
nessun messaggio, nessun video, nessun feed da scorrere.

All’inizio era fastidiosa.
Poi succedeva qualcosa di strano.

La noia creava idee.
Ti inventavi giochi.
Trasformavi oggetti qualunque in qualcosa di incredibile.

Un bastone diventava una spada.
Una scatola diventava una casa.
Un cortile diventava un intero universo.

Se ricordi quanto poteva essere potente la noia, allora sì: la tua infanzia era diversa.


Ricordi i giochi che non avevano regole scritte?

Non servivano tutorial.
Non servivano istruzioni.

Le regole si decidevano lì, e cambiavano continuamente.
E se litigavi? Si litigava davvero.
Poi, dopo dieci minuti, si tornava a giocare come se niente fosse.

Nessun “mute”.
Nessun “block”.
Solo imparare, sbagliare, adattarsi.

Era una palestra emotiva che non sapevamo di frequentare.


Ricordi aspettare?

Aspettare era normale.

Aspettare che arrivasse il tuo turno.
Aspettare davanti alla TV il programma preferito, a un’ora precisa.
Aspettare che qualcuno rispondesse al telefono fisso.

E quando finalmente succedeva, aveva più valore.

Oggi tutto è immediato.
Allora, l’attesa rendeva le cose speciali.


Ricordi le cose che si rompevano… e basta?

Un gioco rotto non veniva sostituito subito.
A volte non veniva sostituito affatto.

E quindi lo riparavi.
O lo trasformavi.
O imparavi a farne a meno.

Non c’era sempre un’alternativa pronta.
C’era accettazione.


Ricordi gli errori senza pubblico?

Facevi figuracce, ma restavano lì.
Nessuna storia.
Nessun repost.
Nessuna memoria digitale eterna.

L’errore finiva quando finiva la giornata.

Questo ti dava il coraggio di provare.
Di rischiare.
Di essere stupido, goffo, vero.


Ricordi il silenzio?

Il silenzio vero.

Case senza sottofondo costante.
Serate senza schermi accesi ovunque.
Momenti in cui non succedeva niente, e andava bene così.

Il silenzio non faceva paura.
Faceva spazio.


Ricordi le relazioni senza filtri?

Le amicizie non avevano “stato”.
Non erano pubbliche.
Non erano misurabili.

O eri amico, o non lo eri.
E lo capivi dai gesti, non dai like.

Se qualcuno non si faceva vedere per giorni, lo andavi a cercare.
Non lo “unfollowavi”.


Ricordi quando il mondo sembrava più grande di te?

Non avevi accesso a tutto.
Non sapevi tutto.

E questo rendeva ogni scoperta più intensa.
Ogni informazione aveva peso.
Ogni esperienza lasciava un segno.

Oggi sappiamo tutto subito.
Allora, imparavamo piano.


Non era meglio. Era diverso.

Questo è importante dirlo.

Non era un’epoca perfetta.
Non era tutto facile.
Non era tutto sano.

Ma era meno rumorosa.
Meno osservata.
Meno performativa.

Era un’infanzia dove si viveva prima di raccontare.


Se ti riconosci in questi ricordi…

Non significa che sei vecchio.
Significa che hai vissuto una forma di infanzia che non tornerà uguale.

E forse, proprio per questo, vale la pena ricordarla.
Non per nostalgia sterile.
Ma per non dimenticare cosa conta davvero:

  • il tempo non programmato

  • la presenza reale

  • l’errore senza giudizio

  • il gioco senza scopo

Se ricordi tutto questo, sì:
la tua infanzia è stata diversa.

E in qualche modo, ti ha reso ciò che sei.

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